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giovedì 23 giugno 2011

Lecce - festa per la vittoria referendaria


DOMENICA 26 GIUGNO
DALLE ORE 19,30 IN POI
a LECCE

in Piazzetta Castromediano
FESTA per la vittoria dei referendum del 12 e 13 giugno

"GRAZIE DI QUORUM"

musica e interventi di
P40
Daniele Durante
Tobia Lamare
Ciccio Zabini
e
Ippolito Chiarello
Simone Franco

proiezione di video

Siete Tutti Invitati

organizza
Comitato referendario cittadino
" 2 SI Acqua bene comune"
e
Comitato Salentino
"Fermiamo il nucleare"


Vogliamo che la nostra iniziativa che sia un momento di Festa e di ringraziamento per tutti coloro che con il loro lavoro, il loro impegno, la loro passione, hanno reso possibile questa straordinaria vittoria.
Lecce e la sua provincia hanno avuto il migliore risultato elettorale referendario in Puglia.

Si tratta solo della prima e più importante tappa di un lavoro iniziato 5 anni fa per far tornare l'acqua ad essere un Bene Comune a vantaggio della comunità degli uomini e delle donne.
Abbiamo vanificato tutti i tentativi di questo Governo di far passare, sotto silenzio e in maniera truffaldina, la riproposizione della sceltra nucleare.

Ora vanno incalzati Governo ed Enti Locali, a cominciare dalla Regione Puglia, affinchè non venga tradito il mandato e il messaggio chiaro che il popolo italiano ha espresso con il voto referendario.

Ci auguriamo di vedervi numerosi, di incontrare tutti coloro con i quali in questi mesi abbiamo condiviso un entusiasmante percorso di partecipazione e democrazia.

VI CHIEDIAMO DI FAR GIRARE QUESTO INVITO TRA TUTTI COLORO CHE IN QUESTI MESI HANNO CONTRIBUITO CON IL LORO LAVORO AL RAGGIUNGIMENTO DI QUESTO GRANDE RISULTATO!

Comitato referendario cittadino
" 2 SI Acqua bene comune"

Comitato Salentino
"Fermiamo il nucleare"

P.S. Piazzetta Castromediano è adiacente a Piazza Sant'Oronzo, alle spalle del Comune

domenica 12 giugno 2011

Così Parigi ha messo alla porta i privati "E ora abbasseremo le tariffe idriche"

La rivoluzione dei socialisti dopo 24 anni. Dal vicesindaco Le Strat appello agli italiani: serve un doppio sì al referendum

Così Parigi ha messo alla porta i privati "E ora abbasseremo le tariffe idriche"

Malagestione e scandali: le bollette alla fine erano cresciute del 260 per cento. Le aziende non reinvestivano i loro guadagni per migliorare il servizio

PARIGI - Acqua privata, andata e ritorno. Viaggio nel tempo della privatizzazione di una rete idrica: vedi alla voce Parigi. Nel 1984 la capitale francese è stata tra le prime in Europa a dare in appalto il servizio. E adesso è considerata pioniera nella difesa del pubblico. Malgestione, accuse di corruzione, scarsa manutenzione e infrastrutture che cadono a pezzi, tariffe che in venticinque anni sono aumentate del 260%. «Ci è sembrato doveroso offrire a tutti i cittadini un bene primario come l´acqua potabile alla migliore qualità e minor costo possibile» sintetizza Anne Le Strat, socialista, 43 anni, vicesindaco di Parigi. Dal gennaio 2010 presiede la nuova compagnia "Eau de Paris" che ha riunificato sotto l´egida del Comune l´intera filiera idrica locale, con 861 dipendenti e un patrimonio stimato a 5 miliardi di euro. Sul referendum di domani ha le idee chiare. «Serve un doppio sì» commenta Le Strat che è anche presidente del consorzio europeo Aqua Publica ed è venuta qualche giorno fa in Italia per partecipare alla mobilitazione.

La battaglia contro la privatizzazione dell´acqua è partita anni fa proprio in Francia, dove hanno sede alcuni dei giganti mondiali del settore come Veolia e Suez, presenti anche sul mercato italiano. «Da noi le privatizzazioni sono andate molto avanti, ormai 70% della rete idrica nazionale è in appalto. Ma la controtendenza è cominciata» assicura Le Strat. La marcia indietro di Parigi è stato un segnale forte. L´allora sindaco Jacques Chirac aveva spartito la città. La rive droite a Veolia, la rive gauche a Suez. Dal 1987 si era aggiunto un terzo operatore, Sagep, che in teoria avrebbe dovuto controllare i distributori privati. In pratica, l´ente misto era partecipato dalle stesse imprese. «Era un assetto illogico, che disperdeva le competenze, le responsabilità, e non garantiva trasparenza» ricorda Le Strat. Sulla manutenzione, spiega, c´erano molte disfunzioni. «I privati non reinvestivano i loro guadagni per migliorare il servizio. Intanto, tutti i grandi lavori su acquedotti o infrastrutture continuavano a gravare sulle casse pubbliche».

Con l´elezione del socialista Bertrand Delanoe è arrivata la "rivoluzione blu". Fuori le multinazionali dell´acqua, avanti il nuovo ente pubblico. «Abbiamo dimostrato che il privato non è più efficiente del pubblico e che, a parità di prezzo, siamo almeno allo stesso livello di qualità». Le Strat smentisce l´idea che rimunicipalizzare il servizio idrico abbia pesato sulle casse del comune. Nel primo anno, "Eau de Paris" ha anzi realizzato un risparmio stimato a 35 milioni di euro rispetto alla gestione privata. Delanoe aveva promesso ai 3,3 milioni di consumatori parigini di mantenere le tariffe bloccate fino al 2014. «Ma i nostri risultati operativi sono stati talmente buoni che dal 1 luglio potremo già abbassare le tariffe dell´8%». Le Strat ricorda con qualche ironia il momento in cui gli operatori privati hanno capito che non sarebbero più stati i padroni del ricco mercato parigino dopo un quarto di secolo. «Erano scioccati dalla nostra decisione, ci hanno fatto molte pressioni».

ANAIS GINORI

www.repubblica.it

Orizzonti egiziani a stelle e strisce

Alcuni passaggi di un lungo saggio che Samir Amin ha dedicato alle primavere arabe. In questo testo, che uscirà in volume alla fine dell'estate, l'economista egiziano approfondisce le tesi che esporrà sabato a Roma, nel corso del convegno organizzato dal manifesto con il titolo «La speranza scende in piazza». Queste le sue conclusioni: Washington preferisce il potere dei Fratelli musulmani a quello dei democratici, che rischierebbero di mettere in questione la subalternità dell'Egitto al loro dominio.

di Samir Amin, da il manifesto, 9 giugno 2011

L'Egitto di Nasser aveva instaurato un sistema economico e sociale criticabile ma coerente. Nasser aveva puntato sull'industrializzazione per uscire dalla specializzazione internazionale di stampo coloniale che aveva circoscritto l'economia del paese all'esportazione del cotone.

sabato 11 giugno 2011

INSIDER DI UNA BANCA SVIZZERA SVELA I LEGAMI TRA BILDERBERG E FINANZA

In un intervista fatta da WeAreChange a un importante banchiere svizzero il 30 maggio del 2011, vengono svelate le relazioni profondamente intrecciate tra i manager di altro livello della banche svizzere e il club del Bilderberg. È oramai palese che il Bilderberg usa le banche svizzere per le attività di riciclaggio del denaro, il finanziamento per rovesciare i governi, per gli assassini e per mandare in bancarotta le nazioni.

Qui sotto trovate l’intervista:

D: Ci può dire qualcosa delle sue attività nel business del settore bancario svizzero?
R: ho lavorato nelle banche svizzere per molti anni. Sono stato uno dei massimi dirigenti di una delle maggiori banche svizzere. Nel mio lavoro sono stato coinvolto nel pagamento, nel pagamento in contanti a una persona che ha ucciso il presidente di una nazione straniera. Ho partecipato alla riunione in cui fu deciso di dare questo denaro al killer. Tutto ciò mi ha fatto venire tremende emicranie e ha fatto traballare la mia coscienza. Non è stata l’unica occasione difficile, ma è stata senz’altro la peggiore.

Era un’ordine di pagamento emesso da un servizio segreto straniero, scritto a mano, dove si dava istruzioni di pagare una certa somma a una persona che aveva ucciso un alto dirigente di un paese straniero. E non è stata l’unica volta. Abbiamo ricevuto in varie occasioni queste lettere scritte a mano che venivano dai servizi segreti stranieri che ci ordinavano di pagare in contanti da conti segreti per finanziare le rivoluzioni o le uccisioni di persone. Posso quello che John Perkins ha scritto nel suo libro “Confessioni di un Sicario dell’Economia”. C’è davvero un sistema del genere e le banche svizzere talvolta ci sono in mezzo.

D: Il libro di Perkins è stato tradotto ed è disponibile in Russo. Ci può dire di che banca si sta parlando e chi era responsabile?
A: Era una delle tre maggiori banche svizzere in quel periodo e si tratta di un presidente di una nazione del terzo mondo. Ma non voglio dare troppi dettagli perché mi potrebbe rintracciare con estrema facilità se dicessi il nome del presidente e il nome della banca. Rischierei la vita.

D: Non può fare neppure il nome della banca?
R: No, non posso. Ma vi posso assicurare che le cose sono andate a questo modo. C’erano diverse persone nella stanza delle riunioni. La persona che doveva fisicamente fare il pagamento in contanti venne da noi e ci chiese se era autorizzato a versare una cifra così alta a quella persona e uno dei direttori spiegò il caso e tutti gli altri dissero “Ok, va bene così”.

D: Ma succede spesso? Si tratta di fondi neri?
A: Sì. Era uno fondo speciale gestito in un luogo specifico nella banca dove tutti gli ordini in codice venivano dall’estero. Le lettere più importante erano scritte a mano. Dovevamo decifrarle e c’erano degli ordini di pagare certe somme in contanti da questi conti per gli omicidi, per finanziare le rivoluzioni e gli scioperi, per finanziare partiti di ogni risma. So che alcune persone che fanno parte del Bilderberg erano coinvolte in questi ordini. Intendo dire che sono loro ad aver dato l’ordine di uccidere.

D: Ci potrebbe dire in quale anno o decennio tutto questo è successo?
R: Preferisco non darvi l’anno preciso, ma stiamo parlando degli anni ’80.

D: Ha avuto problemi per questo lavoro?
A: Sì, problemi grossi. Non sono riuscito a dormire per parecchi giorni e dopo un po’ ho lasciato la banca. Se vi dessi troppi dettagli mi rintraccerebbero. Alcuni servizi segreti esteri, soprattutto di lingua inglese, hanno dato ordini per finanziare azioni illegali, persino l’uccisione di persone all’interno della banche svizzere. Dovevamo pagare seguendo le istruzioni delle potenze straniere per l’assassinio di alcune persone che non avevano seguito gli ordini del Bilderberg o del FMI o della Banca Mondiale.

D: È una testimonianza davvero sorprendente quello che ci sta rivelando. Perché ha sentito l’urgenza di dirlo in questo momento?
R: Perché il Bilderberg si sta riunendo in Svizzera. Perché la situazione mondiale sta peggiorando sempre di più. E perché le maggiori banche svizzere sono coinvolte in attività senza etica. La maggior parte di queste operazioni sono fuori dalle pagine dei bilanci. Si parli di multipli di quello che viene ufficialmente dichiarato. Non sono revisionati e avvengono senza versamenti di imposte. Le cifre in questione hanno parecchi zeri. Sono somme enormi..

D: Quindi miliardi?
R: Molto di più, si parla di trilioni, completamente fuori da qualsiasi verifica, illegali e fuori dal sistema impositivo. In sostanza è un furto generalizzato. Intendo dire che la maggioranza delle persone normali paga le tasse e rispetta le leggi. Quello che succede in questo caso è totalmente al di fuori dei nostri valori svizzeri, come la neutralità, l’onestà e la buona fede. Nelle riunioni a cui ho partecipato, le discussioni andavano sempre contro ii nostri principi democratici. Vedi, la gran parte dei direttori della banche svizzere non sono più gente del posto, vengono dall’estero, sono principalmente anglo-sassoni, sia americani che britannici, e non rispettano la nostra neutralità, i nostri valori, vanno contro i principi della nostra democrazia diretta e usano solamente le banche svizzere per i loro propositi illegali.

Usano quantità enormi di moneta creata dal nulla e distruggono la nostra società e i popoli del mondo solo per avidità. Cercano il potere e distruggono intere nazioni, come la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e la Svizzera sarà una delle ultime. E usano i cinesi come fossero schiavi. E una persona come Josef Ackermann, che è un cittadino svizzero, è a capo di una banca tedesca e uso il suo potere per la propria avidità e non rispetta le persone comuni. Ha alcune cause in corso in Germania e adesso anche negli Stati Uniti. Fa parte del Bilderberg e non gliene frega niente né della Svizzera, né di qualsiasi altro paese.

D: ci sta dicendo che alcune di queste persone che ha menzionato saranno al prossimo meeting del Bilderberg che si terrà di giugno a St. Moritz?
R: Sì.

D: Quindi sono ancora al potere?
R: Certo. Hanno a disposizione una quantità enorme di denaro disponibile e lo usano per distruggere intere nazioni. Demoliscono le loro industrie per poi ricostruirle in Cina. Dall’altra parte aprono i cancelli dell’Europa ai prodotti cinesi. La classe lavoratrice europea guadagno sempre di meno. L’obbiettivo vero è quello di distruggere l’Europa.

D: Lei crede che la riunione del Bilderberg a St. Moritz abbia un valore simbolico? Perché nel 2009 sono stati in Grecia, nel 2010 in Spagna e guardiamo cosa gli è successo. Ciò significa che la Svizzera si deve aspettare qualcosa di brutto?
R: Sì. La Svizzera è per loro uno dei paesi più importanti, perché qui ci sono tanti capitali. Si stanno riunendo qui perché, oltre che per altri motivi, vogliono distruggere i valori che sostengono la Svizzera. Vedete che per loro è un ostacolo il fatto che non siamo nell’UE o nell’Euro, che non siamo controllati in modo totale da Bruxelles e così via. Parlando dei valori, non sto parlando di quelli delle maggiori banche svizzere, perché non sono più svizzere già da tempo, la maggior parte sono guidate dagli Americani. Sto parlando del vero spirito svizzero che la gente comune conserva e sostiene.

Certo che ha avuto un valore simbolico, come hai detto, per la Grecia e la Spagna. Il loro scopo è quello di essere una sorta di club esclusivo elitario che concentra in sé tutti i poteri mentre tutti gli altri vengono impoveriti.

D: Cosa ne pensa del possibile obbiettivo del Bilderberg di creare una sorta di dittatura globale, controllata dalle grandi corporation globali, senza più alcuna interferenza delle nazioni sovrane?
R: La Svizzera è l’unico posto dove è ancora presente una forma di democrazia diretta ed è proprio sulla loro strada. Loro usano il ricatto del “troppo grande per cadere” come nel caso di UBS per far sprofondare il nostro paese nel debito, proprio come hanno fatto con tante altre nazioni. Alla fine potrebbero voler fare con la Svizzera lo stesso che hanno fatto con l’Islanda, con il paese e tutte le banche in bancarotta.

D: E verrà realizzato anche nell’Unione Europea?
R: Naturalmente. L’Unione Europea è nelle grinfie del Bilderberg.

D: Cosa pensa che potrebbe fermare questo piano?
R: Bene, questo è il motivo per cui ti sto parlando. È la verità. La verità è l’unica maniera. Mettere in luce questa situazione, metterli in piazza. Non gli piace di essere sotto la luce dei riflettori. Dobbiamo creare trasparenza nel settore bancario e a tutti i livelli sociali.

D: Quello che stai dicendo è che c’è una parte sana nel mondo delle banche svizzere e poi ci sono poche banche che stanno abusando del sistema finanziario per le loro attività illegali.
R: Sì. Le grandi banche stanno formando il loro personale con i valori anglosassoni. Li stanno addestrando per essere avidi e spietati. E l’avidità sta distruggendo la Svizzera e il mondo intero. Posso dire che nel nostro paese abbiamo la gran parte delle banche più correte che operano nel mondo, se si parla delle banche di piccole e medie dimensioni. Sono quelle grandi che costituiscono un problema. Non sono più svizzere e non si considerano nemmeno tali.

D: Credi che sia una buona cosa il fatto che la gente stia facendo luce sul Bilderberg e che stia mostrando chi siano in realtà?
R: Io credo che il caso di Strauss-Kahn ci dà una buona occasione, perché ci fa vedere che queste persone sono corrotte, hanno la mente malata, tanto malate da essere piene di vizi e questi vizi vengono tenuti nascosti. Alcuni di loro, come Strauss-Kahn, violentano le donne, altri fanno del sado-maso o sono pedofili e molti sono dentro al satanismo. Quando entri in qualche banca, puoi vedere questi simboli satanisti, come nella Banca Rothschild di Zurigo. Queste persone sono vincolate dai ricatti a causa della loro debolezza. Devono seguire gli ordini, altrimenti verrebbero additati, distrutti o persino uccisi. Non solo Strauss-Kahn è stato assassinato nei media, potrebbe davvero essere ucciso.

D: Siccome Ackermann è nel comitato direttivo del Bilderberg, pensi che sia un personaggio chiave?
A: Sì. Ma ce ne sono molti altri, come Lagarde, che probabilmente sarà il nuovo direttore del FMI, ed è anche membro del Bilderberg, poi ci sono Sarkozy e Obama. Hanno in mente un progetto di censurare Internet, perché è ancora libera. La vogliono controllare e usare il terrorismo o qualsiasi altra cosa per questo scopo. Potrebbero persino pianificare qualcosa di orribile per avere una scusante.

D: Questa è la tua paura?
R: Non è solo una paura, ne sono sicuro. Come ho detto, sono capaci di cose terribili. Se hanno la sensazione di perdere il controllo, come nelle rivolte in Grecia e in Spagna e forse l’Italia sarà la prossima, potrebbero istituire un’altra Gladio. Sono stato vicino alla rete di Gladio. Come tu sai, hanno istigato il terrorismo pagato dai soldi degli americani per controllare il sistema politico in Italia e in altri paesi europei. Per quanto riguardo l’omicidio di Aldo Moro, il pagamento fu fatto nella stessa maniera che ho prima descritto.

D: Ackermann faceva parte di questo sistema di pagamenti in una banca svizzera?
R: (Sorride) Tu sei un giornalista. Guarda alla sua carriera e come velocemente è arrivato alla vetta.

D: Cosa credi possa esser fatto per ostacolarli?

R: Bene, ci sono molti buoni libri che spiegano il contesto e collegano i punti, come quello prima citato di Perkins. Queste persone hanno davvero dei sicari pagati per uccidere. Alcuni di loro prendono i soldi dalle banche svizzere. Ma non solo, hanno un sistema che è sviluppato in tutto il pianeta E per rivelare al pubblico queste persone sono preparati da fare qualsiasi cosa per mantenere il controllo..

D: Mettendoli in luce, li potremo fermare?
R: Sì, dicendo la verità. Siamo di fronte a criminali senza scrupoli, anche criminali di guerra. Peggio che il genocidio. Sono pronti e capaci di uccidere milioni di persone solo per rimanere al potere e tenere il controllo.

D: Ci puoi spiegare dal tuo punto di vista perché i mass media occidentali sono quasi completamente indifferenti al Bilderberg?
R: Perché c’è un accordo tra loro e i proprietari dei media. Non ne devi parlare. Li corrompono. Anche alcuni personaggi importanti del mondo della comunicazione sono stati invitati alle riunioni, ma gli è stato detto di non riferire niente di quello che avevano visto o sentito.

D: Nella struttura del Bilderberg, c’è un gruppo ristretto che è a conoscenza di questi progetti, con la maggioranza che semplicemente segue gli ordini?
R: Sì. C’è un circolo ristretto che sono nel satanismo e poi ci sono gli ingenui o le persone meno informate. Alcuni credono di fare qualcosa di buono, quelli che ne sono al di fuori.

D: In base ai documenti rivelati e alle tue affermazioni, il Bilderberg decise nel 1955 di creare l’Unione Europea e l’Euro, e così hanno preso decisioni importanti e di lungo raggio.
R: Sì, tu sai che il Bilderberg fu fondato dal Principe Bernard, un ex membro delle SS, aderente al partito dei Nazisti e che ha anche lavorato per IG Farben, le cui sussidiarie producevano lo Zyklon B. L’altra persona era il direttore di Occidental Petroleum che aveva strette relazioni con i comunisti in Unione Sovietica. Erano su schieramenti opposti ma in fondo queste persone sono fascisti che vogliono controllare tutto e tutti e chi si mette nel mezzo viene fatto fuori.

D: Il sistema di pagamento che ci hai spiegato rimane fuori dalle normali operazioni, compartimentato e segreto?
R: In queste banche svizzere i normali impiegati non ne sono a conoscenza. È come un ufficio segreto della banca. Come ho detto queste operazioni rimangono fuori delle pagine del bilancio, senza alcuna supervisione. In alcuni casi sono nello stesso edificio, in altri sono all’esterno. Hanno la loro sicurezza privata e un’area dedicata dove possono entrare solo le persone autorizzate.

D: Come riescono a tenere queste transazioni al di fuori della rete internazionale SWIFT?
R: Bene, alcuni dei listini Clearstream erano veri all’inizio. Ci sono anche dei nomi falsi per far credere che tutta la lista sia falsa. Anche loro fanno degli errori. La prima lista era vera e da qui si può risalire a molte cose. Vedi, ci sono persone che scoprono le irregolarità e le cose vere e gliele riferiscono. Alla fine ci sono dei processi e queste persone sono costrette a rimanere in silenzio.

Il modo migliore per fermarli è quello di dire la verità, mettergli addosso la luce dei riflettori. Se non li fermiamo, diventeremo tutti loro schiavi.

Grazie per quest’intervista. Fonte: http://noviden.info/article_239.html

07.06.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

giovedì 2 giugno 2011

Francesco Caruso: In Islanda da due anni è in corso una rivoluzione ma nessuno ne parla

Islanda: storia di una rivolta contro il neoliberismo

L’attenzione mediatica verso le rivolte del Maghreb è parte del dispositivo post-coloniale di governance della triade sicurezza-territorio-popolazione, dispositivo che sul campo, nel contenimento della materialità dei corpi insorgenti, viene demandato agli apparati militari. Si tratta di un ordine discorsivo volto a traghettare i vascelli tumultuosi della ribellione popolare dai sentieri scoscesi del sottosviluppo e dell’oscurantismo politico verso le autostrade illuminate della modernizzazione europea e i porti accoglienti delle mature democrazie occidentali: il tutto rigorosamente a debita distanza, perché, semmai qualcuno decidesse di sfidare il mare che lo separa dalla civile Europa, scoprirebbe sulla propria pelle la potenza pervasiva della mistificazione occidentale. Mentre si cerca di “europeizzare” le rivolte maghrebine (ponendo la democrazia rappresentativa occidentale come loro aspirazione massima, oppure decantando il ruolo della comunicazione telematica, fondamentalmente proiettata verso l’esterno, a detrimento della potenza di Al Jazeera e Al Arabiya quali strumenti di circolazione delle lotte), all’opposto si cerca di “deuropeizzare” la rivolta in Islanda, nel tentativo di isolare il virus dell’insorgenza popolare contro il potere finanziario globale ed evitare che si estenda, anche minimamente, a livello transnazionale. Si assiste a una razzializzazione del tutto particolare, una sorta di “orientalismo nordico”, attraverso cui relativizzare e deoccidentalizzare l’Islanda e il suo moto di ribellione: il moderno Stato islandese, per anni in cima alla classifica dell’astruso Human Development Index dell’Onu, che lo descriveva come il più florido del pianeta, diventa così una piccolissima nazione di poche centinaia di migliaia di pescatori accampati su uno scoglio remoto e gelido ai “confini” del mondo. Insomma, si può cancellare facilmente l’Islanda dalla mappa dell’Europa, come esortano gli stessi illustri commentatori dei quotidiani finanziari che fino a pochissimi anni fa ne tessevano le lodi facendone un esempio virtuoso di neoliberismo realizzato in cui l’“effervescenza” finanziaria conviveva e permetteva un aumento generalizzato del benessere. Alla favola del “lupo buono” gli islandesi credono fino a quando nel 2008 il castello di sabbia della forsennata finanziarizzazione crolla in tutto il mondo.
L’Islanda è uno dei paesi più drammaticamente coinvolti: la borsa locale perde il 74 per cento, la corona islandese precipita sui mercati valutari e il paese finisce letteralmente sull’orlo della bancarotta.
L’IceSave, una banca on line islandese che ha attirato diversi miliardi di euro dall’estero - qualcosa come dieci volte il pil nazionale - grazie ai suoi elevati tassi di interesse, fallisce. L’Inghilterra, seguita poi dall’Olanda, decide così di indennizzare i 300 mila clienti britannici e i 910 milioni di euro investiti da amministrazioni locali del Regno Unito, presentando poi il conto al governo islandese.
Per cercare di mettere una “pezza” sulla voragine finanziaria, il governo del conservatore Geir Hilmar Haarde decide, nell’autunno del 2008, di nazionalizzare le banche più importanti del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir. Una soluzione “sovietica” finalizzata a garantire profitti e rendite pregresse attraverso la socializzazione delle perdite: mai come in questa fase la mistificazione e l’ipocrisia degli ideologi del capitalismo si mostrano in tutta la loro sfacciataggine.
In Islanda, però, il meccanismo si inceppa per l’intervento di una variabile imprevista e incontrollata. Migliaia di cittadini scendono in piazza, assediando il parlamento con un cacerolazos in stile argentino che andrà avanti per alcune settimane, fino a costringere il primo ministro a rassegnare le dimissioni nel gennaio del 2009.
Nelle elezioni anticipate di aprile, ottiene la vittoria una coalizione di sinistra guidata da Jóhanna Sigurardóttir. Il nuovo governo vara una legge per la restituzione del debito di tre miliardi a Gran Bretagna e Olanda, somma che dovranno pagare tutte le famiglie islandesi “in comode rate” da un centinaio di euro a persona per i prossimi 15 anni, al 5,5 per cento di interesse. Tuttavia, gli islandesi scendono di nuovo numerosi in piazza, fino a quando nel gennaio 2010 il presidente della Repubblica convoca una prima consultazione referendaria dove il “no” al pagamento del debito incassa il 93 per cento dei voti. Il governo socialdemocratico sceglie allora di recuperare il terreno perduto attraverso una strategia diversificata. In primo luogo, sul terreno politico avvia un processo di autoriforma, con l’obiettivo di ricostruire la credibilità delle istituzioni politiche spazzata via dalla crisi finanziaria: la scelta di convocare un’assemblea costituente per riscrivere la costituzione del paese si propone, in ultima istanza, la ricostruzione di una connessione simbolica e materiale tra la sfera istituzionale e le istanze che continuano a ribollire nella società. Il 27 novembre 2010, vengono eletti 25 cittadini costituenti, senza alcun collegamento politico e alcun precedente incarico elettivo, tra le 522 candidature popolari.
In secondo luogo, il parlamento approva all’unanimità, il 26 giugno 2010, l’Icelandic Modern Media Initiative, la cosiddetta “legge sbavaglio” per la protezione della libertà di informazione che di fatto trasforma l’Islanda in un rifugio sicuro per il giornalismo investigativo e la libertà di informazione, una sorta di “paradiso legale” per le fonti, i giornalisti e gli Internet provider. In terzo luogo, il governo cerca di raffreddare la rabbia sociale attraverso l’individuazione della responsabilità di alcuni personaggi chiave della finanza locale: viene aperta una inchiesta parlamentare e spiccati alcuni ordini di cattura internazionale, come nel caso del presidente della Landsbanki Sigurour Einarsson, attualmente ricercato dall’Interpool.
Ma è ancora sul piano economico che si gioca la partita più importante. Il governo decide di approntare un piano di rientro più soft, che viene presentato come una conquista della mobilitazione popolare, essendo molto più ridotto in termini quantitativi (da tre miliardi si passa a 440 milioni di euro) e molto dilazionato sul lungo periodo (il pagamento è rateizzato fino al 2046). Il movimento di protesta a questo punto si divide tra chi lo ritiene comunque un buon compromesso e chi invece sospetta si tratti in realtà di un accordo-ponte, ma soprattutto si rifiuta di far ricadere sulle spalle delle generazioni future le porcherie dei responsabili della crisi finanziaria.
In parlamento, l’accordo viene sottoscritto dalla quasi totalità delle forze politiche, ma gli islandesi non si arrendono: l’assedio a oltranza del parlamento e le 43 mila firme raccolte in pochi giorni costringono nuovamente il presidente della Repubblica a sottoporre la legge a consultazione popolare: il 9 aprile 2011, la maggioranza degli islandesi, il 58 per cento, vota “no” all’accordo. I governi stranieri protestano, si minaccia il blocco dell’ingresso nell’Unione europea, il Fondo monetario internazionale congela gli aiuti economici, le agenzie di rating paventano ulteriori retrocessioni, i media finanziari internazionali si interrogano su “fino a che punto può l’indignazione popolare mettere in discussione i principi basilari dell’economia capitalistica”.
Insomma, gli islandesi sono passati in pochi mesi dalla fiducia cieca nel neoliberismo a un processo di politicizzazione radicale e di riappropriazione dal basso della decisionalità pubblica: hanno riscoperto il piacere della democrazia e non sembrano disposti a rimetterla nelle mani dei pochi e soliti noti. Si è aperto così uno scontro palese, diretto e senza mediazioni tra democrazia diretta ed economia liberista. In altri termini, se nei paesi arabi i dispositivi di sussunzione della rivolta popolare si traducono nel tentativo di omologare i loro sistemi politici a quella che comunemente viene definita democrazia rappresentativa, centrata essenzialmente sulle elezioni “libere” dei rappresentanti del popolo, la rivolta islandese si è già posta oltre questi dispositivi di cattura.
Non c’è più solo una prima ministra dichiaratamente lesbica e una maggioranza parlamentare di sesso femminile a indicare l’abbattimento di alcune barriere invisibili nella dimensione pubblica, non c’è solo l’eccentrico comico “anarco-surrealista” Jón Gnarr (una sorta di Beppe Grillo islandese), eletto sindaco della capitale nel maggio 2010; non c’è solo la radicalizzazione dei principi antimilitaristi (l’Islanda è uno dei pochissimi paesi al mondo a non disporre di un esercito) e ambientalisti (la legge islandese impone che il 99,9 per cento dell’energia provenga da fonti rinnovabili). La potenza costituente dell’insorgenza islandese mette in discussione la relazione asimmetrica tra politica ed economia nell’era della globalizzazione neoliberista, decostruendo, attraverso l’azione sociale, la stessa struttura della partecipazione politica occidentale, quest’ultima irrimediabilmente sussunta dentro il quadro delle compatibilità sistemiche.
Nel 930 si iniziarono a sperimentare in Islanda alcuni presupposti normativi che solo molti secoli dopo sarebbero divenuti il patrimonio comune e sostanziale delle democrazie liberali europee: e oggi come ieri, dobbiamo trovare la forza di volgere lo sguardo non solo verso il cuore dell’impero ma anche verso l’ibridismo del confine, la marginalità della periferia. In questo modo, potremmo trovare anche in Islanda, come nella Selva Lacandona alla fine del secolo scorso, alcune risposte al nostro camminare domandando.

Tratto dal numero 13 di Loop, in edicola dal 19 maggio 2001