martedì, 25 marzo 2014
da www.nogeoingegneria.com
“Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025″
è un importante studio del 1996 che rivela l’intento da parte delle
forze armate degli USA di disporre entro il 2025 di “una capacità di
modificazione del tempo globale, precisa, immediata, robusta,
sistematica”. NoGeoingegneria.com l’ha tradotto in italiano per portarlo
a conoscenza di un pubblico sempre più vasto.
La manipolazione del tempo atmosferico e della ionosfera per le forze
armate statunitensi non sono certo una novità degli ultimi anni.
D’altronde chi ha una minima conoscenza dell’ambiente militare sa che
non esistono remore nell’impiego di tecnologie anche al loro stadio
immaturo: la possibilità di sfruttare la tecnologia per conseguire il
predominio sul campo di battaglia, siano i cieli o lo spazio, porta tali
ambienti a sperimentare tutto quello che lascia intravedere un qualche
vantaggio, spesso eludendo trattati internazionali e quant’altro,
avendo, con tutta probabilità, alle spalle il consenso del mondo
politico e degli affari che conta, mondi con i quali si creano forti
interconnessioni con risvolti in termini economici e politici.
La variabile meteo è stata sempre al centro degli interessi militari
diventando sempre più determinante allorché le forze aeree acquisivano
maggior peso nelle operazioni belliche e nel monitoraggio degli spazi e
dei cieli. Solo per fare un esempio, citato anche nello studio che vi
andiamo a sottoporre, nell’ intervento Desert Storm in Iraq il
50% delle operazioni di bombardamento furono cancellate per problemi
meteorologici. Capita inoltre che di frequente i target, gli
obiettivi da colpire, vengano modificati ad operazioni in corso a causa
delle avverse condizioni meteo su una determinata area.
In questo importante studio redatto nel 1996 da alcuni ufficiali
dell’aeronautica degli Stati Uniti, spesso citato in diversi articoli
sull’argomento (si veda per es. gen. Fabio Mini Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata in Limes n.06/2007) e ora tradotto in italiano da NoGeoingegneria.com, non
si fa certo mistero di quali siano gli obiettivi delle modificazioni al
meteo e quali enormi prospettive si aprano grazie all’impiego e allo
sviluppo di nuove tecnologie collegate alle nanotecnologie, ai droni,
alle onde elettromagnetiche. La variabile tempo assume così una veste
operativa nuova: gli eventi meteorologici non diventano solo un elemento
da mitigare per consentire lo svolgimento delle operazioni militari
(dissipazione di nubi, nebbia, temporali ecc.), ma assumono un ruolo
attivo, divenendo un’arma determinante di attacco da impiegare tanto
nello scontro militare quanto in operazioni di guerra psicologica, ma
soprattutto in operazioni di guerra “non dichiarata”, dove non è chiaro
se un evento sia un fatto naturale o artificialmente prodotto.
martedì 5 agosto 2014
I poveri? S’arrangino
Monica Di Sisto |
3 agosto 2014
di Monica Di Sisto
Sovranità alimentare e commercio internazionale non parlano la stessa lingua, e quando tenti di difendere la prima, devi per forza rinunciare a sparare cassette e derrate a casaccio per il mondo e ricominciare a parlare di regole vincolanti per tutti. E’ questa la conclusione prevedibile – almeno per chi scrive – che si deve trarre dall’ennesimo collasso annunciato dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il 31 luglio era la data fissata con gran frastuono nella Conferenza ministeriale di Bali del dicembre scorso, come momento in cui i 160 Paesi membri avrebbero dovuto fissare nuove regole per rendere il passaggio delle merci più fluido alle frontiere (chiudendo con un accordo finale il cosiddetto negoziato sulla Trade facilitation).
Se il commercio accelera per i grandi esportatori, però, è logico che si debbano prevedere misure più efficaci per salvaguardare i mercati interni, soprattutto quando è a rischio la sicurezza alimentare, nel caso qualcosa vada storto. Era per questo – oltre che per difendere i propri interessi di grande produttore ed esportatore agricolo, che l’India aveva puntato i piedi chiedendo di approvare in quella stessa data, e non il 31 dicembre come previsto a Bali, un pacchetto di misure che le permettessero in via permanente altrettanto facilmente di pagare sussidi per produrre e stoccare cibo per i più poveri, quando in patria cominciasse a scarseggiare.
Finita l’euforia della vacanza esotica, quando i negoziatori sono tornati al quartier generale della Wto, sulle ordinarie sponde del lago di Ginevra, gli Stati Uniti insieme ai grandi esportatori – Europa compresa – hanno fatto la voce grossa, cercando di chiudere le facilitazioni al commercio senza nulla concedere nel negoziato agricolo. L’India e i Paesi più poveri schierati insieme a lei sono stati minacciati di venire indicati come i responsabili unici del mancato rilancio della Wto sbandierato a Bali e dello sprofondare dell’organizzazione nella vecchia crisi di credibilità in cui versa dai tempi del fallimento della ministeriale di Seattle, cioè da ben quindici anni.
lunedì 14 luglio 2014
http://stop-ttip-italia.net/info/
La Campagna Stop TTIP Italia nasce a febbraio 2014 per coordinare organizzazioni, reti, realtà e territori che si oppongono all’approvazione del Trattato di Partenariato Transatlantico su commercio e Investimenti (TTIP).
Per aderire invia un’email all’indirizzo stopttipitalia(at)gmail.com
Le organizzazioni promotrici (al 28 giugno 2014)
Abruzzo Social Forum, Aiab, Altramente, Arci, Associazione Botteghe Del Mondo, Associazione Culturale Punto Rosso, Associazione Rurale Italiana, A Sud, Attac Italia, Centro Internazionale Crocevia, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, CETRI-Tires, Cipsi, Comisión Europea Derechos Humanos Y Pueblos Ancestrales, Comitato Lavoratori Cileni Esiliati, Comitato per la Pace Rachel Corrie (Valpolcevera Genova Bolzaneto), Comitato Roma 12 per i Beni Comuni, Commissione Audit Parma, Comune-Info, Confederazione Cobas, Coop. Fair, Coordinamento Nord Sud Del Mondo, Cospe, Costituzione Benicomuni, Ecomapuche – Amicizia Con Il Popolo Mapuche, eQual, Ennenne, Fairwatch, Fiom, Fondazione Cercare Ancora, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Forum cittadini del mondo R. Amarugi, Forum Italiano Dei Movimenti Per L’acqua, Forum per una nuova finanza pubblica e sociale, Fratelli dell’uomo, Global Project, Laboratorio Urbano Reset, Link – Coordinamento Universitario, Mag 4 Piemonte, Maurice GLBTQ, Medici Senza Camice, Movimento consumatori, Mst-Italia, Municipio Dei Beni Comuni, Osservatorio Italiano Sulla Salute Globale, People Health Movement, Re:Common, Rete Della Conoscenza, Reorient, Rete Della Conoscenza, Sbilanciamoci, Scup, Sos Geotermia – Coordinamento Dei Comitati In Difesa Dell’Amiata, Spazi Popolari – Agricoltura-Organica-Rigenerativa, Transform! Italia, Un Ponte Per, Unione Degli Studenti, Unione Sindacale Italiana , Yaku
I sostenitori (al 28 giugno 2014)
Federica Daga (M5S), Lista L’Altra Europa con Tsipras, Partito Pirata Italiano, Rifondazione Comunista, SEL
Singoli aderenti (al 28 giugno 2014)
Anna Bellia, Franco Boni, Stefania Brocchi, Iolanda Capezza, Giulio Cengia, Silvia De Luca, Simone Esposito, Linda Guerra, Francesco Lucat, Silvana Niutta, Enrica Noseda, Sergio Ruggeri, Andrea Saroldi, Giorgio Sgarbi, Maria Pia Simonetti, Susanna Sinigaglia, Vitangelo Solimini, Alex Zanotelli
La Campagna Italiana STOP TTIP ha prodotto:
Una scheda sui Negoziati a cura di Fairwatch
Una scheda sui Servizi pubblici a cura di ATTAC Italia
Una scheda su lavoro e Servizi pubblici a cura di COBAS
Una scheda sugli Investimenti a cura di Re:Common
Una scheda sul Fracking scheda TTIP a cura di A SUD
Una scheda sui Bio-combustibili Scheda TTIP a cura di A SUD
Una scheda su Privacy e libertà digitali a cura della Rete della Conoscenza
Una scheda su l’Agricoltura a cura di MST Italia
Un video con la lezione della prof.ssa Algostino (29 gennaio) a cura di Attac Torino
Un video con la relazione di Alberto Zoratti di Fairwatch (12 marzo) a cura di Attac Torino
venerdì 11 luglio 2014
TTIP, il grande mercato transatlantico
I potenti ridisegnano il mondo
di Serge Halimi
I negoziati relativi al Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip) fra gli Stati uniti e l’Unione europea conferma la determinazione dei liberisti a trasformare il mondo, ingaggiare dei tribunali al servizio degli azionisti , fare della segretezza una virtù progressista e consegnare la democrazia alle cure dei lobbisti.…la loro inventiva è sfrenata. Prima dell’eventuale ratifica del trattato restano da superare diverse tappe. Ma la finalità commerciale del Ttip si accompagna a mire strategiche: isolare la Russia e contenere la Cina mentre queste due potenze si avvicinano l’una all’altra.UN’AQUILA del libero scambio statunitense attraversa l’Atlantico per far strage di un gregge di agnelli europei mal protetti. L’immagine è dilagata nel dibattito pubblico sull’onda della campagna per le elezioni europee. È suggestiva ma politicamente pericolosa. Da un lato, non permette di capire che anche negli Stati uniti diverse collettività locali rischiano un domani di essere vittime di nuove norme liberiste le quali impedirebbero loro di proteggere lavoro, ambiente e salute.
domenica 15 giugno 2014
Ricetta Jp Morgan per Europa integrata: liberarsi delle costituzioni antifasciste
Fonte ilfattoquotidiano.it
Che un gigante della finanza globale produca un documento in cui chiede ai governi riforme strutturali improntate all’austerity non fa più notizia. Ma Jp Morgan, storica società finanziaria (con banca inclusa) statunitense, si è spinta più in là. E ha scritto nero su bianco quella che sembra essere la ricetta del grande capitale finanziario per gli stati dell’Eurozona. Il suo consiglio ai governi nazionali d’Europa per sopravvivere alla crisi del debito è: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste.
Ricetta Jp Morgan per Europa integrata: liberarsi delle costituzioni antifasciste
Report della banca d'affari statunitense, considerata dal governo Usa responsabile della crisi dei subprime: "I sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l'integrazione. C'è forte influenza delle idee socialiste". E cita, tra gli aspetti problematici, la tutela garantita ai diritti dei lavoratori
Che un gigante della finanza globale produca un documento in cui chiede ai governi riforme strutturali improntate all’austerity non fa più notizia. Ma Jp Morgan, storica società finanziaria (con banca inclusa) statunitense, si è spinta più in là. E ha scritto nero su bianco quella che sembra essere la ricetta del grande capitale finanziario per gli stati dell’Eurozona. Il suo consiglio ai governi nazionali d’Europa per sopravvivere alla crisi del debito è: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste.
Quella sporca decina
Franco Fracassi | 22 gennaio 2013
Fonte comune-info.net
Sfruttamento del lavoro, anche minorile, inquinamento, influenza sulle organizzazioni internazionali. Una lista nera delle dieci multinazionali più pericolose al mondo, a cominciare da Chevron (foto, protesta alla riunione annuale dei soci), De Beers, Philip Morris, Coca cola. Ma il loro dominio dipende da quelli che sono dominati: sempre più cittadini consumatori in tutto il mondo sono informati e pensano che quelle imprese non possono fare a meno di loro e dei lavoratori. E questa consapevolezza alle imprese non piace
Franco FracassiInquinamento dei fiumi e dei mari, finanziamento di guerre e guerriglie, distruzione di terre coltivabili, influenza sulle organizzazioni internazionali per non far approvare trattati o per far modificare leggi e regolamenti, sperimentazione su animali, sfruttamento del lavoro, anche minorile, massiccia deforestazione, uso e diffusione di prodotti transgenici. Sono tante le multinazionali che violano leggi, commettono crimini e inquinano impunemente il pianeta. La rivista ecologista spagnola Ecocosas ha stilato una lista nera delle dieci multinazionali più pericolose al mondo. Eccola.
Renzi? Bugiardo e pericoloso: ha troppi padroni potenti
fonte: libreidee.org
«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italiani.
Quando negli anni ‘80 Michael Ledeen varcava l’ingresso del dipartimento di Stato, ricorda Franco Fracassi su “Popoff”, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta:
«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italiani.
Quando negli anni ‘80 Michael Ledeen varcava l’ingresso del dipartimento di Stato, ricorda Franco Fracassi su “Popoff”, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta:
domenica 5 gennaio 2014
Il generale Mini: la guerra climatica è già cominciata
di Girgio Cattaneo - 02/01/2014
Fonte: libreidee
Ne ha parlato di recente, in un convegno a Firenze largamente disertato dai media, l’ex comandante delle forze Nato in Kosovo.
Mini rivendica la responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra ambientale è già cominciata”, ufficializzando uno scenario nuovo e inquietante:
Fonte: libreidee
La guerra
ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo:
si passa per pazzi. Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra
fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la
“bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta
lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su
scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi.
Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. E da parecchi anni.
Era il lontano 1946 quando Thomas Leech, scienziato e professore
israeliano-neozelandese, lavorò in Australia per conto dell’Università
di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami.
Il successo del “Progetto Seal” spaventò Leech spingendolo a fermarsi
dopo i primi test. Ma chi ci dice che la manipolazione del clima non
sia stata portata avanti? Oggi, con la robotizzazione, per molte
“operazioni” bastano poche persone. «Non ci sono vincoli, non ci sono
regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà». Non i
governi, ma ristrette élite.
Ne ha parlato di recente, in un convegno a Firenze largamente disertato dai media,
l’ex comandante delle forze Nato in Kosovo. Mini rivendica la
responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema
quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra
ambientale è già cominciata”, ufficializzando uno scenario nuovo e
inquietante: le forze della natura sono adoperate e piegate come
strumento ed arma. Può accadere, sottolinea Mini, perché – come di
fronte a qualsiasi altra aberrazione di carattere mostruoso – l’opinione
pubblica è innanzitutto incredula: «La maggior parte delle persone
ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle
progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle
conseguenti implicazioni». Da un lato c’è la rassicurante convenzione
Onu del 1977, che proibisce espressamente «l’uso militare, o di altra
ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a
larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità». In realtà,
al 90% le prescrizioni Onu vengono regolarmente disattese, in
particolare dai militari. I quali «hanno già la capacità di condizionare
l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o
addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta».
I
militari, riassume Mini – citato nel report del blog “No
Geoingegneria” – prediligono la tecnologia. E le loro richieste alla
scienza non sono per programmi attuabili a breve termine, ma sono
progetti con sviluppi nel medio e lunghissimo termine. Attenzione: «Non
esiste una moralità che possa impedire di oltrepassare un certo punto.
Basti pensare allo sviluppo e le applicazioni degli ordigni atomici.
Non esiste vincolo morale, ciò che si può fare si fa». Inoltre, la
nuova tecnologia viene applicata anche a livello immaturo: «La voglia
di conseguire un vantaggio spinge ad usare le tecnologie senza fare
test a sufficienza. Una possibilità viene messa in atto per verificarne
il funzionamento, sperimentandone direttamente sul campo gli effetti».
Già nel 1995, uno studio dell’aeronautica militare statunitense
(“Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025”) delineava
i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo
del meteo a livello globale. Secondo Mini, non si parlava ancora di
“possedere il clima”, ma di controllare il meteo e lo spazio
atmosferico per condurre operazioni belliche, «per esempio irrorando le
nubi con ioduro d’argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per
dissolverle oppure spostarle».
Si
tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in
qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di quello
studio, secondo il generale Mini «siamo piuttosto vicini al traguardo
del 2025». Secondo il meteorologo statunitense Edward Norton Lorenz,
padre della “teoria del caos”, mai e poi mai avremo conoscenze
sufficienti a verificare le effettive conseguenze di una modificazione
climatica. Se qualcuno trae un vantaggio da una modificazione climatica,
dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è
detto che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche
catastrofiche, che Lorenz chiama “effetto farfalla”. Proprio in quegli
anni si comincia a pensare non solo di cambiare il meteo, ma di creare
una situazione permanente e quindi di trasformare il clima. «Così
qualcuno inizia a pensare: cosa rende l’Europa
prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del Golfo
del Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare come
modificare questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a
chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si
può fare’». Qualcuno chi?
La domanda, infatti, è particolarmente inquietante: da chi scaturisce quella volontà politica
che sta alla base della catena di comando? Brutte notizie, dice Mini:
gli Stati stanno perdendo il controllo della situazione, che è
monopolizzata da ristrettissimi gruppi di potere. Il generale le chiama “bande”. Sono costituite da «persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere
che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente
il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali». L’enorme potere
di questo super-clan è confermato dalla situazione mondiale di massima
emergenza, come confermato dalle analisi di carattere strategico a
livello militare. In sintesi: la demografia del pianeta è in aumento
esponenziale, le risorse della Terra sono in netta diminuzione, l’economia
globale è in recessione. Insomma, la coperta è sempre più corta. E il
ruolo degli Stati nella definizione della minaccia è ormai ridotto a
zero.
Non
sono più gli Stati a decidere, a individuare o prevedere le minacce,
sottolinea Mini. Sono “altri” che fanno le analisi. E fare le
valutazioni della minaccia «vuol dire fornire le indicazioni per la politica». Bene, «questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti». George W. Bush, quando ha avviato la “guerra
infinita” innescata dagli attentati dell’11 Settembre, non è stato
indirizzato da fonti istituzionali, ma da «qualcuno che lavora fuori
dalle istituzioni, contro le istituzioni». La situazione è veramente
critica: molti Stati hanno l’acqua alla gola, colpiti dalla crisi
e ricattati dalla cupola finanziaria mondiale. La criminalità è in
netto aumento, il contrasto verso le mafie si è indebolito e la
percezione dell’insicurezza è cresciuta. Ogni problema viene
estremizzato: la favola dello “scontro di civiltà” tra cultura
giudaico-cristiana e cultura musulmana resta «il faro politico di tutte
le relazioni internazionali». Così, non fa che cresce la
militarizzazione del pianeta: «Le cose che venivano fatte con strumenti
civili oggi vengono fatte quasi esclusivamente con strumenti militari,
inducendo gli ambienti militari ad essere sempre più proiettati verso
il controllo e il possesso di strumenti tecnologici per attuarlo».
La
dualità, lo scontro, si manifesta in maniera preponderante nello
spazio, con il controllo delle telecomunicazioni e dei sistemi di
difesa, e ora anche nell’ambiente, «che non è più il luogo ove la guerra
si manifesta, ma è l’arma», e negli agglomerati urbani, «che sono i
luoghi dove si prevede il maggior intervento in termini di
militarizzazione». Lo spazio è definito un “bene comune” e come tale
dovrebbe essere salvaguardato. «Ma non succede, e la percezione di
scarsa sicurezza alimenta un incremento della militarizzazione». Come si
sfrutta l’ambiente come arma? «Non solo con le modifiche
meteorologiche, ma anche tramite la negazione delle informazioni. Non
c’è solo la disinformazione
sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama “denial of
service”». Ovvero: «Si stabilisce che è necessario non solo negare la
realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione». E questo, ribadisce
Mini, è già un vero e proprio atto di guerra.
«Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle
informazioni», anche se questo può causare catastrofi di proporzioni
bibliche, come il devastante tsunami abbattutosi sulle coste
dell’Indonesia. «Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo:
l’informazione sul suo arrivo era disponibile, ma interruzioni nella
trasmissione dati a causa di anelli malfunzionanti, o volutamente non
funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione».
Un
altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema Haarp.
Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, dice Mini,
ormai si può incidere globalmente. Come? «Andando a creare,
artificialmente, dei punti più caldi o più freddi, e quindi modificando
il clima interferendo anche sulle correnti». Lo stesso dicasi per le
alterazioni che provocano i terremoti, anche se il generale nega che il
recente terremoto in Emilia sia stato “indotto”. Ma attenzione:
«Nessuno può negare che ci siano state più di 2.000 esplosioni nucleari
nel sottosuolo terrestre, nella profondità degli oceani e persino
nello spazio». Già negli anni ’90, per colpire obiettivi di interesse
militare in Cina, «fu pianificato di indurre un terremoto con delle
esplosioni dalla zona di Okinawa». La dismissione di migliaia di
ordigni nucleari, dopo la fine della guerra
fredda, ha creato un mercato dei materiali fissili da innesco. «Le
grandi compagnie petrolifere si offrirono di reimpiegarli e sappiamo che
è possibile agire sulle faglie inducendo terremoti tramite ordigni
nucleari o micro-nucleari».
La guerra
ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo:
si passa per pazzi. Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra
fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la
“bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta
lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su
scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi.
Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. E da parecchi anni.
Era il lontano 1946 quando Thomas Leech, scienziato e professore
israeliano-neozelandese, lavorò in Australia per conto dell’Università
di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami.
Il successo del “Progetto Seal” spaventò Leech spingendolo a fermarsi
dopo i primi test. Ma chi ci dice che la manipolazione del clima non
sia stata portata avanti? Oggi, con la robotizzazione, per molte
“operazioni” bastano poche persone. «Non ci sono vincoli, non ci sono
regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà». Non i
governi, ma ristrette élite. Ne ha parlato di recente, in un convegno a Firenze largamente disertato dai media, l’ex comandante delle forze Nato in Kosovo.
Mini rivendica la responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra ambientale è già cominciata”, ufficializzando uno scenario nuovo e inquietante:
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