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lunedì 13 dicembre 2010

Noam Chomsky: le 10 Strategie della Manipolazione attraverso i mass media

fonte: http://www.pinobruno.it/
Noam Chomsky: le 10 Strategie della Manipolazione attraverso i mass media
Pino Bruno | ottobre 3rd, 2010 - 00:53

L’amico Enzo Patino di W-Labs mi segnala questa riflessione di Noam Chomsky, da sempre scomodo guru della linguistica, della comunicazione e della controinformazione. E’ il Decalogo della strategia della Manipolazione attraverso i Mass Media. Lettura quanto mai opportuna, visti i tempi…

Noam Chomsky



1 – La strategia della distrazione.

L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione.

Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità.

Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 – La strategia del differire.

Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini.

La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione.

Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità.

Far sì che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità.

Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…

9 – Rafforzare il senso di colpa.

Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca.

Negli ultimi 50’anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Noam Chomsky

Fonti:

http://gramscimania.blogspot.com/2010/09/noam-chomsky-y-las-10-estrategias-de.html

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7480

http://www.visionesalternativas.com.mx/index.php?option=com_content&task=view&id=48460&Itemid=9

http://www.islam-online.it/2010/09/noam-chomsky-le-10-strategie-della-manipolazione-attraverso-i-mass-media/

domenica 5 dicembre 2010

REGOLARE LA FINANZA O SUPERARE IL CAPITALISMO?



Trascurati dai partiti socialisti europei in quanto «vecchie teorie semplicistiche» che sarebbe bene abbandonare, detronizzati nelle università dove furono a lungo insegnati come base dell'analisi economica, i lavori di Karl Marx suscitano di nuovo grande interesse. Del resto, è stato proprio il filosofo tedesco ad analizzare a fondo la meccanica del capitalismo, i cui soprassalti disorientano gli esperti. Mentre gli illusionisti pretendono di «moralizzare» la finanza, Marx ha cercato di mettere a nudo i rapporti sociali.


di LUCIEN SÈVE *

Erano quasi riusciti a farcelo credere: la storia era finita, il capitalismo, con generale soddisfazione, costituiva la forma definitiva dell'organizzazione sociale; la «vittoria ideologica della destra», parola di primo ministro, si era ormai compiuta, solo alcuni incurabili sognatori agitavano ancora lo spettro di non si sa quale diverso futuro. Lo spettacolare terremoto finanziario dell'ottobre 2008 ha spazzato via di colpo questo castello di carte. A Londra, il Daily Telegraph scrive: «Il 13 ottobre 2008 resterà nella storia come il giorno in cui il sistema capitalistico britannico ha riconosciuto il suo fallimento (1).» A New York, davanti a Wall Street, i manifestanti brandiscono cartelli con la scritta: «Marx aveva ragione!». A Francoforte, un editore annuncia che la vendita del Capitale è triplicata. A Parigi, una nota rivista, in un dossier di trenta pagine, analizza, a proposito di colui che si diceva definitivamente morto, «i motivi di una rinascita» (2). La storia si riapre...
Ad immergersi in Marx, più di uno fa delle scoperte. Righe scritte un secolo e mezzo fa sembrano parlarci con sorprendente attualità.
Esempio: «Poiché l'aristocrazia finanziaria dettava le leggi, controllava la gestione dello stato, disponeva di tutti i poteri pubblici costituiti, dominava l'opinione pubblica nei fatti e con la stampa, si riproducevano in tutti gli ambienti, dalla corte fino al caffè più malfamato, la stessa prostituzione, lo stesso inganno spudorato, la stessa sete di arricchirsi non certo con la produzione, ma con la sottrazione della ricchezza altrui (3)...» Marx parla della situazione in Francia alla vigilia della rivoluzione del 1848... Di che far riflettere.
Ma al di là delle sorprendenti somiglianze, la diversa epoca rende gratuita qualsiasi trasposizione diretta. L'attualità, ancora una volta evidente, di quella magistrale Critica dell'economia politica che è il Capitale di Marx, si situa ben più in profondità.
Infatti, a cosa è dovuta l'ampiezza della presente crisi? A leggere quel che quasi tutti sostengono, responsabili sarebbero la volatilità di prodotti finanziari sofisticati, l'incapacità del mercato dei capitali di auto-regolarsi, la scarsa moralità di chi gestisce i soldi... In pratica, si tratterebbe unicamente di errori interni al sistema il quale gestisce, oltre all'«economia reale», quella che viene definita l'«economia virtuale» - come se non si fosse appena constatato quanto anche quest'ultima sia reale. Eppure, la crisi iniziale dei subprime è nata proprio dalla crescente mancanza di denaro di milioni di famiglie americane, a fronte dell'indebitamento dovuto all'essersi candidate a proprietarie. Il che obbliga ad ammettere che, in fin dei conti, il dramma del «virtuale» ha le sue radici nel «reale». E il «reale», nel caso specifico, è l'insieme globalizzato del potere d'acquisto popolare. Dietro lo scoppio della bolla speculativa creata dal dilatarsi della finanza, c'è l'universale accaparramento, da parte del capitale, della ricchezza creata dal lavoro, e dietro questa distorsione, per cui la parte spettante ai salari è diminuita di più di dieci punti, un calo colossale, c'è un quarto di secolo di austerità per i lavoratori in nome del dogma neoliberista. Le trombe della moralizzazione Carenza di regolazione finanziaria, di responsabilità gestionale, di moralità borsistica? Certo. Ma se si riflette senza tabù, si deve guardare ben oltre: occorre mettere in discussione il dogma gelosamente protetto, di un sistema di per sé al di sopra di ogni sospetto, e poi meditare su quella ragione ultima delle cose che Marx chiama «legge generale dell'accumulazione capitalistica». Egli dimostra che, là dove le condizioni sociali della produzione sono proprietà privata della classe capitalista, «tutti i mezzi atti a sviluppare la produzione si mutano in mezzi di dominazione e sfruttamento del produttore», sacrificato all'accaparramento di ricchezza da parte dei possidenti, accumulazione che si nutre di se stessa e tende dunque a diventare folle. «L'accumulazione di ricchezza in un polo» crea necessariamente per converso un'«accumulazione proporzionale di miseria» all'altro polo, e da qui rinascono inesorabilmente le premesse di violente crisi commerciali e bancarie (4). È proprio di noi che si parla in questo caso.
La crisi è scoppiata nella sfera del credito, ma la sua forza devastante si è formata in quella della produzione, con la spartizione sempre più squilibrata del valore aggiunto tra lavoro e capitale, un maremoto che un sindacalismo di bassa lega non ha potuto impedire e che è stato accompagnato da una sinistra socialdemocratica che tratta Marx come un cane rognoso. Non è allora difficile immaginare che valore possano avere le soluzioni alla crisi - «moralizzazione» del capitale, «regolazione» della finanza - proclamate da politici, gestori, ideologi, che ancora ieri fustigavano il semplice sospetto di un atteggiamento non «tutto liberista».
«Moralizzazione» del capitale? È una parola d'ordine che merita un premio all'umorismo nero. Se c'è infatti un ordine di considerazioni che volatilizza qualsiasi regime di sacrosanta libera concorrenza, è proprio la considerazione morale: l'efficienza cinica guadagna colpo su colpo, con la stessa sicurezza con cui la moneta cattiva scaccia la buona. La preoccupazione «etica» è pubblicitaria. Marx risolveva la questione in poche righe nella sua prefazione al Capitale: «Non dipingo certo di rosa il personaggio del capitalista e del proprietario fondiario», ma «meno di qualsiasi altra, la mia prospettiva, in cui lo sviluppo della società in quanto formazione economica è studiato come processo di storia naturale, potrebbe rendere l'individuo responsabile di rapporti di cui rimane socialmente un prodotto (5)... ». Ecco perché non basterà certamente qualche ceffone, per «rifondare» un sistema in cui il profitto resta l'unico criterio. Non si tratta di essere indifferenti all'aspetto morale delle cose.
Anzi, al contrario. Ma, valutato in modo serio, il problema è di tutt'altro ordine rispetto alla delinquenza di padroni canaglia, all'incoscienza di traders pazzi o anche all'indecenza dei paracaduti dorati. Quel che il capitalismo ha di indifendibile in questo senso, al di là dei comportamenti individuali, è il suo stesso principio: l'attività umana che crea ricchezza vi ha lo statuto di merce, ed è dunque trattata non come fine in sé, ma come semplice mezzo. Non c'è bisogno di aver letto Kant per vedervi l'origine prima dell'amoralità del sistema. Se si vuole veramente moralizzare la vita economica, bisogna prendersela con ciò che la de-moralizza. Il che passa certo - amena riscoperta di molti liberisti - per la ricostruzione di regolamentazioni statali.
Ma affidarsi, a questo scopo, allo stato sarkozyano dello scudo fiscale per i ricchi e della privatizzazione delle Poste supera i limiti dell'ingenuità - o dell'ipocrisia. Quando si pretende di affrontare la questione della regolamentazione, è imperativo ritornare ai rapporti sociali fondamentali - e qui, di nuovo, Marx ci offre un'analisi di indiscutibile attualità: quella sull'alienazione.
Nella sua prima accezione, elaborata in celebri testi giovanili (6), il concetto definisce la maledizione che costringe il salariato del capitale a produrre la ricchezza per altri, solo producendo la propria indigenza materiale e morale: deve perdere la vita per guadagnarla.
La multiforme inumanità di cui la massa dei salariati è oggi vittima (7), dall'esplosione delle patologie del lavoro ai licenziamenti borsistici passando per i bassi salari, mostra con grande crudeltà quanto l'analisi sia ancora valida. Ma, nei suoi lavori della maturità, Marx ritorna sull'alienazione dandole un senso ben più vasto: poiché il capitale riproduce costantemente una radicale separazione tra mezzi di produzione e produttori - fabbriche, uffici, laboratori non sono di chi vi lavora - , le loro attività produttive e cognitive, non collettivamente controllate alla base, sono lasciate all'anarchia del sistema della concorrenza, dove si convertono in incontrollabili processi tecnologici, economici, politici, ideologici; gigantesche forze cieche che li soggiogano e li schiacciano.
Gli uomini non fanno la propria storia, è la loro storia che li fa.
La crisi finanziaria illustra in modo terrificante questa alienazione, proprio come la crisi ecologica e quel che bisogna chiamare la crisi antropologica, quella delle vite umane: nessuno ha voluto queste crisi, ma tutti le subiscono.
È da questo «spossessamento generale», spinto all'estremo dal capitalismo, che risorgono inarrestabilmente le rovinose assenze di regolamentazione concertata. Per cui chi si vanta di «regolare il capitalismo» è sicuramente un ciarlatano politico. Regolare sul serio, richiederà molto più dell'intervento statale, per quanto necessario esso possa essere, perché, chi regolamenterà lo stato? Occorre che a riprendere il controllo dei mezzi di produzione siano i produttori materiali - intellettuali finalmente riconosciuti per quel che sono, e che non sono gli azionisti: i creatori della ricchezza sociale, aventi come tali l'indiscutibile diritto di prendere parte alle decisioni di gestione in cui si decide della loro stessa vita. Di fronte ad un sistema la cui evidente incapacità di regolarsi ci costa un prezzo esorbitante, bisogna, secondo Marx, iniziare senza indugio il superamento del capitalismo, lunga marcia verso una diversa organizzazione sociale dove gli esseri umani, grazie a nuove forme di associazione, controlleranno insieme le loro forze sociali impazzite.
Tutto il resto è fumo negli occhi, dunque tragica delusione annunciata.
Si va ripetendo che Marx, molto incisivo nella critica, mancherebbe di credibilità quanto alle soluzioni, poiché il suo comunismo, «testato» all'Est, sarebbe radicalmente fallito. Come se il defunto socialismo staliniano-brezneviano avesse avuto qualcosa di veramente comune con l'idea di comunismo di Marx, di cui quasi nessuno peraltro cerca di recuperare il senso reale, che è agli antipodi di quel che l'opinione corrente mette sotto la parola «comunismo». In realtà, quel che potrebbe essere il «superamento» del capitalismo nel XXI secolo, in senso autenticamente marxista, si delinea sotto i nostri occhi in modo completamente diverso (8).
La bancarotta dell'Homo Ïconomicus Ma qui ci fermiamo: volere un'altra società sarebbe una cruenta utopia, perché non si cambia l'uomo. E «l'uomo», il pensiero liberista sa cosa è: un animale che trae la sua essenza non dal mondo umano, ma dai suoi geni, un calcolatore mosso dal suo solo interesse individuale - Homo Ïconomicus (9) - , con cui non è possibile altro che una società di proprietari privati in concorrenza «libera e non falsata». Ora anche questa idea fa bancarotta. Sotto l'eclatante tracollo del liberismo pratico si consuma sottovoce il fallimento del liberismo teorico e del suo Homo Ïconomicus. Doppio fallimento. Scientifico, prima di tutto. Nel momento in cui la biologia si separa da un semplicistico «tutto-genetico», l'ingenuità dell'idea di «natura umana» salta agli occhi. Dove sono i geni, annunciati con grande clamore, dell'intelligenza, della fedeltà o dell'omosessualità? Quale mente colta può ancora credere, ad esempio, che la pedofilia sia congenita? E fallimento etico. Perché quel che protegge da lustri l'ideologia dell'individuo concorrenziale, è la disumanizzante pedagogia del «diventate assassini», una liquidazione programmata delle solidarietà sociali non meno drammatica dello scioglimento dei ghiacci polari, una de-civilizzazione a tutto tondo per la follia dei soldi facili, che dovrebbe fare arrossire chi osa annunciare una «moralizzazione del capitalismo». Dietro il naufragio storico in cui la dittatura della finanza affonda e ci fa affondare, c'è quello del discorso liberista su «l'uomo».
E lì, sta la più inattesa delle attualità di Marx. Perché questo formidabile critico dell'economia è anche, nello stesso momento, l'iniziatore di una vera rivoluzione nell'antropologia. Una dimensione totalmente misconosciuta del suo pensiero, che non si può esporre in venti righe. Ma la sua sesta tesi su Feuerbach ne esprime lo spirito in due frasi: «L'essenza umana non è un'astrazione inerente all'individuo preso a parte. Nella sua realtà, è l'insieme dei rapporti sociali».
Al contrario di quanto pensa l'individualismo liberista, «l'uomo» storicamente sviluppato, è il mondo dell'uomo. Lì ad esempio, e non nel genoma, si forma il linguaggio. Lì prendono origine le nostre funzioni psichiche superiori, come ha superbamente dimostrato un marxista a lungo misconosciuto, Lev Vygotski, uno dei grandi psicologi del XX secolo, il quale ha così aperto la strada ad una visione completamente diversa dell'individualità umana.
Marx è attuale e anche più di quanto non si pensi? Sì, purché si voglia attualizzare l'idea tradizionale che spesso ci si fa di lui.


note:
* Filosofo. Ha appena pubblicato il tomo 2 di Penser avec Marx aujourd'hui, intitolato L'homme?, La Dispute, Parigi.

(1) The Daily Telegraph, Londra, 14 ottobre 2008.

(2) Le Magazine littéraire, n° 479, Parigi, ottobre 2008.

(3) Karl Marx, La lotta di classe in Francia, Editori riuniti, 1984; citato in Manière de voir, n° 99, «L'internationale des riches» giugno-luglio 2008.

(4) Karl Marx, Il capitale, Libro I, Editori riuniti, 1983 o Presses universitaires de France, Parigi, 1993, p. 724.

(5) Le Capital, Libro I, p. 6.

(6) «Le travail aliéné», Manuscrits de 1844, Flammarion, Parigi, 1999.

(7) Leggere Christophe Dejours, Travail, usure mentale, Bayard, 2000; «Aliénation et clinique du travail» Actuel Marx, n° 39, «Nuovelles aliénations», Parigi, 2006.
(8) In Un futur présent: l'après-capitalisme, La Dispute, Parigi, 2006, Jean Sève dipinge un quadro impressionante di questi inizi di superamento osservabili in settori molto diversi.

(9) Leggere tra gli altri Tony Andréani, Un être de raison. Critique de l'Homo Ïconomicus, Syllepse, Parigi, 2000.
(Traduzione di G. P.)

Perché temere il Russian Business Network

DA Punto Informatico
lunedì 15 ottobre 2007
Alfonso Maruccia

Perché temere il Russian Business Network

La più celebre cybermafia russa sotto il microscopio: emerge che RBN si occupa di tutto, dall'hosting a prezzi popolari alla protezione legale dei suoi accoliti. Ma la sua vera natura è il lato oscuro

Roma - Se c'è un caso in cui la parola "cybercrimine" è particolarmente appropriata è quello in cui rientra la banda di bravi ragazzi telematici di Russian Business Network, il provider di servizi di rete che dall'antica città russa costituisce la testa di ponte di alcuni dei peggiori attacchi e minacce attualmente in circolazione su Internet.

Ne parla diffusamente il Washington Post, che in un articolo mette assieme le poche informazioni disponibili pubblicamente sull'organizzazione e qualche indiscrezione degli addetti ai lavori. La conclusione? Senza regolamentazioni legali sopranazionali forti, RBN non potrà che continuare a prosperare.

La rete dei cattivi del web, definita dalle società di sicurezza "la peggiore delle peggiori" organizzazioni digitali a delinquere, è secondo Spamhaus.org tra le maggiori appestatrici del web, coinvolta in grossi affari di materiale pedo-pornografico, spam, malware, phishing e ogni genere di attività criminale in Rete. È partita ad esempio dal network di RBN la metà delle minacce di frode telematica con furto di identità e credenziali per i servizi finanziari registrate durante tutto l'anno scorso.

Secondo quanto sostiene Verisign, colosso della certificazione e della sicurezza, il gruppo di truffatori noto come Rock Group ha usato i servizi di RBN per rubare qualcosa come 150 milioni di dollari da account bancari nel corso del 2006. Per Symantec, altra storica security enterprise, il network russo "è letteralmente un rifugio per tutte le attività illegali, siano esse pornografia infantile, raggiri online, pirateria o qualunque altra operazione illecita", risultando RBN il maggior provider del cybercrimine moderno.

Una posizione di primo piano raggiunta e mantenuta grazie "ai forti legami con il sottobosco criminale russo così come con il governo", sostiene ancora Symantec, legami accuratamente oliati dalla corruzione degli apparati di potere e da mazzette posizionate nelle tasche degli uomini giusti. Quello che rende particolarmente difficile tracciare, o anche solo definire, un quadro particolareggiato ed esauriente di tutte le attività di RBN è il fatto che in pratica la società non esiste, non è registrata ufficialmente da nessuna parte e non si fa pubblicità sul web.

Per venire in contatto con i criminali che gestiscono la rete bisogna addentrarsi in misconosciuti forum in lingua russa o usare l'instant messaging, avendo in sostanza a che fare tutto il tempo con sfuggenti nickname. Occorre poi conquistarsi la fiducia dei gestori, dimostrando di essere a tutti gli effetti un criminale alla ricerca di protezione e supporto per le proprie nefaste attività online. Solo dopo aver dato dimostrazione della genuinità delle cattive intenzioni si può avere accesso agli efficienti servizi di hosting dell'organizzazione.

Al prezzo di 600 dollari al mese - 10 volte il prezzo proposto per attività legittime - RBN mette a disposizione dei malfattori uno spazio web a prova di cyber-sbirro, garantendo il cosiddetto bulletproof hosting grazie al quale i siti web rimangono raggiungibili su Internet indipendentemente dagli sforzi delle polizie di tutto il mondo per metterli off-line. RBN funge in pratica da contenitore, o, per meglio dire, da vettore di attacchi e distribuzione di malware, permettendo ai veri e propri cracker di agire indisturbati.

"Fanno soldi sul servizio che offrono", sottolinea l'analista Alexander Gostev della ben nota società di antivirus moscovita Kaspersky, mentre "le attività illecite vengono tutte condotte dai gruppi che acquistano l'hosting". Legalmente il network sarebbe insomma pulito, e sembra sia questa una delle motivazioni per cui la rete è ancora in piedi, nonostante gli sforzi di chiuderla condotti a livello internazionale.

Ci si mettono poi di mezzo anche le forze di polizia russe, apparentemente poco inclini a collaborare, forse messe sotto pressione, forse oliate a dovere, con americani e agenzie investigative straniere che tentano di arginare il problema. "È evidente che il cyber-crimine organizzato ha messo radici in quei paesi che non hanno meccanismi di risposta, leggi, infrastrutture e supporto investigativo pronti a rispondere velocemente alle minacce" accusa Ronald K. Noble, segretario generale della forza internazionale dell'Interpol.

E se le leggi locali non sono sufficienti a fermare schifezzaware inc., se l'FBI arranca e chiede di portare pazienza e la diplomazia appare impotente, i gestori di connettività cominciano ad agire di propria iniziativa per arginare la marea di melma telematica prima che essa li sommerga definitivamente. Blocca ad esempio i range di indirizzi appartenenti alla rete russa un sysadmin di un ISP americano di medie dimensioni, che ha scelto di rimanere anonimo per paura di pesanti ripercussioni su Internet così come nella vita reale.

"Abbiamo fatto il gioco del gatto col topo con RBN per circa un anno - confessa John - finché mi sono stufato di sbattere fuori o ripulire gli utenti compromessi dopo aver visitato uno di questi indirizzi russi". Dopo aver bannato gli IP incriminati il network gestito da John è praticamente rinato, con le segnalazioni di siti di phishing ospitati sui siti web della società da parte di ISP terzi decurtati da 30-40 la settimana a 3 soli casi in due settimane.

Misure di contrasto efficaci solo temporaneamente, sostiene Danny McPherson della società Arbor Networks: "In fin dei conti la cosa sposta semplicemente il problema da qualche altra parte", perché bloccare in maniera massiccia i russi non farebbe altro che spingere i soliti noti verso altri paradisi del cyber-crimine in cerca di riparo e accoglienza. "Quello di cui abbiamo realmente bisogno - suggerisce l'esperto - è di leggi e politiche di regolamentazione che intervengano prontamente", e in ambito sopranazionale, a suturare la ferita andata in putrefazione del cybercrime. Sperando che ci sia ancora tempo per salvare il paziente: il suo nome è Internet e non se la passa nel migliore dei modi.

Alfonso Maruccia

SmokyLeaks

 DA  PeaceReporter

Si fa chiamare H@rlock, come il 'pirata spaziale' del cartone animato giapponese. Anche lui è una specie di pirata, ma del cyberspazio. E' un hacker, che ha accettato di parlare a PeaceReporter del fenomeno WikiLeaks

Come viene vissuto e interpretato nel vostro ambiente lo scalpore mediatico mondiale suscitato dai 'leak' di Julian Assange?
Premetto che non parlo a nome di qualsivoglia movimento hacker: esprimo solo il mio punto di vista personale. Detto questo, è evidente che gli ultimi documenti diffusi da WikiLeaks non rivelano nulla di nuovo: non fanno altro che confermare verità già note o del tutto scontate. Nessuno scoop, nessun mistero svelato: solo una valanga di gossip internazionale, perfetta per distrarre l'opinione pubblica da questioni ben più importanti, come la crisi strutturale dell'attuale sistema economico: meglio che la gente pensi ad altro! E tutto fumo negli occhi. Se quelle di WikiLeaks fossero informazioni realmente scomode e imbarazzanti per il potere, i mass media avrebbero reagito come hanno sempre fatto in questi casi: le avrebbero ignorate, o quantomeno minimizzate. Invece gli hanno dato il massimo rilievo: prima hanno creato l'attesa, la suspense, ora non parlano d'altro. Hanno fatto di Julian Assange, fino a poco tempo fa sconosciuto ai più, un'icona planetaria utile al sistema di potere. C'è chi sostiene che se Assange rappresentasse realmente una minaccia al sistema, sarebbe già morto o in galera.
Al sistema, Assange serve vivo e latitante, come Bin Laden: se lo facessero fuori o lo arrestassero, perderebbe la sua funzione e diventerebbe un martire scomodo. Mi spiego. L'operazione WikiLeaks, oltre ad essere un utile diversivo di massa, è anche un ottimo pretesto per chi vuole limitare la libertà della rete e la libertà di informazione in generale. Se si paragona questa fuga di notizie a un 'attacco terroristico', a un nuovo '11 settembre informatico', se si trasforma Assange nel ricercato globale numero uno alla stregua di Osama, è per poter giustificare una guerra globale alla libertà della rete. Assange non rappresenta una minaccia al sistema perché ne fa parte, o per lo meno è stato così ingenuo da farsi manipolare da esso.

Da chi? Se Assange è un burattino, chi sono i burattinai? Chi c'è dietro WikiLeaks? Chi la finanzia?
Una cosa è certa: WikiLeaks non vive di donazioni. Fino a poco tempo fa non avevano fondi sufficienti, erano sull'orlo della chiusura. Poi, improvvisamente, i soldi sono arrivati, e così tanti da consentire operazioni come quelle che poi abbiamo visto. Daniel Schmitt, il numero due di WikiLeaks, è stato cacciato da Assange proprio perché voleva capire da dove fossero piovuti tutti quei soldi, e come mai così all'improvviso: scrupoli che l'australiano non ha gradito. WikiLeaks, nato come un progetto indipendente, povero e dai nobili intenti, col tempo si è guadagnato credibilità nel mondo della 'libera informazione', diventando una risorsa molto preziosa, un 'asset' ideale per chi volesse compiere un certo tipo di operazioni: bastava sostenerlo e manovrarlo a dovere. A quel punto sono arrivati sia i finanziamenti che le informazioni: non penserete mica che i cablogrammi arrivino dagli hacker! Quella è tutta roba passata da persone interne all'establishment: e non parlo del soldatino Bradley Manning, ma di organizzazioni ben più potenti.
Quali? Servizi segreti? Lobby finanziarie?
C'è chi tira in ballo la Cia, osservando che finora WikiLeaks non ha mai diffuso documenti provenienti da Langley. C'è chi parla di George Soros, il magnate americano che finanzia tutto e il contrario di tutto. C'è chi parla della potente organizzazione cyber-criminale russa Rbn (Russian Business Network, ndr). Difficile dire chi abbia ragione: forse tutti.

giovedì 2 dicembre 2010

venerdì 26 novembre 2010

IL CORPO DELLE DONNE






Il corpo delle donne: intervista alla regista Lorella Zanardo

“Il corpo delle donne” è un documentario amatoriale che ha fatto il giro della Rete in brevissimo tempo, provocando reazioni in ogni dove. “Il corpo delle donne” è nato come effetto, come risposta, alla palese mercificazione del corpo femminile nella televisione italiana. Ma, strada facendo, è diventato anche un pretesto per mettere in moto iniziative e progetti, come quello chiamato “Nuovi occhi per la tv”, che mira a diffondere tra gli adolescenti nelle scuole un’educazione all’immagine che li possa far crescere nella consapevolezza di uno sguardo critico alla tv.

“Il corpo delle donne” vuole essere lo spunto iniziale per pretendere, protestare, ottenere una nuova televisione, e soprattutto un concetto di donna che ci dipinga meglio, che ci rappresenti in tutte le nostre sfumature, e non più come esseri-oggetto, capaci solo di mostrare il proprio corpo. Ne abbiamo parlato con Lorella Zanardo, co-autrice e regista del documentario in questione.

Lorella, ti va di presentarti?

Io mi chiamo Lorella Zanardo e sono consulente, anche di tematiche inerenti al femminile a livello internazionale, e questo lavoro sul corpo delle donne è nato proprio dall’aver visto la televisione dopo molti anni in cui risiedevo all’estero e non ero più abituata a queste immagini.

Ecco, cosa significa di preciso aver trovato una televisione diversa una volta tornata in Italia? E perchè hai deciso di montare questo documentario quindi?

Come stiamo creando il cervello collettivo

venerdì 19 novembre 2010

Uscire dalla rete... E poi?

di Emanuele Montagna

Faremondo propone:
Incontro fra redattori di siti, blogger e frequentatori della rete

Traccia minima per aprire la discussione

Senza immaginare una società diversa non possiamo pretendere di costruire speranza. Senza l'intervento consapevole di molti nulla di essenziale sotto la superficie delle forme cambierà. Oggi, chi non è catastrofista è consapevole che la società attuale può continuare ad implodere dentro la catastrofe in cui ci hanno costretto i dominanti. Dall'interno dell'abisso nessun fondo si intravede: il processo catastrofico, per quel che ne sappiamo, potrebbe anche durare millenni senza che nulla di differente emerga. Questo è nella natura della società creata dal capitale: tutto può andare in rovina ma non per questo il suo modo di vivere e di pensare è destinato a crollare e a togliersi da sé. Tutto il contrario, semmai.
A questo punto il tempo dell'attesa, dell'illusione e della delega non ha più senso, specialmente quando si comincia a comprendere che in questo mondo non c'è speranza. E mentre si sperimenta tutti i giorni come e quanto la speranza che invece c'è sia un inganno.

L’inganno della speranza è fabbricato dai dominanti e coltivato incessantemente dai loro media. Il messaggio alle moltitudini planetarie è: sperate (in questo mondo) e state buoni, sperate ed aspettate che così male non va, sperate e tacete che potrebbe andar peggio (i dominanti potrebbero senz'altro fare in modo che vada peggio). E se proprio non riuscite a sperare in questo modo sperate allora nel “cambiamento”, confluite nel “dissenso” che noi stessi per voi fabbrichiamo, ma continuate a restare a casa davanti ai nostri schermi di fumo (o, al limite, sfogatevi da soli sulla vostra tastiera...).

L'inganno della speranza è una delle mosse strategiche più astute dei produttori della nostra catastrofe. Con esso si toglie senso al nostro presente e al nostro agire. È come se ci chiudessimo dentro una gabbia cognitiva in cui la nostra mente si trova costretta a giocare a ping pong con le racchette e le palline preformate dal Potere. E a quanti rifiutano il gioco il Potere grida: non provate a pensare che si possa vivere diversamente perché fuori dall'inganno della speranza c'è il Nulla.

Governare è far credere: la strategia dei dominanti moderni non è cambiata, da Machiavelli in poi. Certo, sono cambiati gli strumenti e la scala, oggi planetaria. In prima linea nel far credere, insieme ai media, stanno la scienza, la politica, la scuola e l’università, l'arte e la letteratura. In questa cultura non c'è scampo: potenti nemici marciano alla nostra testa, forti di un intero corpus di conoscenze funzionali alla riproduzione del Potere. Se essere governati è credere alla narrazione dei dominanti, il primo atto di libertà fondata è smettere di credere a quello che ci dicono. Anzitutto, che non possa esserci altro fuori dall'inganno della speranza.

Immaginare un orizzonte societario diverso significa cominciare a costruire la speranza. Senza  questa mossa che ci differenzi concettualmente da tutto il mare magnum del sapere subalterno nessun programma è possibile scrivere. Su nessun aspetto dell'esistenza, su nessuna questione potremmo avere argomentazioni da spendere.  Nessuna opposizione, nessun sensato antagonismo, nessuna distinzione mentale appare oggi possibile senza affrontare questo snodo dirimente. Gente variamente coinvolta nelle discussioni in rete, persone intere senza rappresentanza, artisti d'ogni tipo mai entrati nel morto spettacolo del mercato dell'arte, pensatori, scienziati, insegnanti, inventori e geni senza nome: mai come in questa epoca di tenebre impazzite le vostre opere possono risultare vitali... Saranno pochi granelli di pulviscolo all'inizio, ma fuori dall’inganno della speranza essi potrebbero cominciare a disegnare una nuova forma di conoscenza, un arco teso verso un diverso futuro.

La primavera scorsa, con l'iniziativa Anticorpi: che facciamo?, avevamo se non altro suggerito un tetto per una casa comune ancora senza fondamenta. La mossa concettuale distintiva proposta a quanti fossero disposti a mettersi sul cammino dell'immaginazione era la seguente: terra, aria, acqua, luce solare e tempo per stare insieme sono da considerare sempre e dovunque beni pubblici (e di tutti gli esseri viventi) da usare e rigenerare in comune. Quindi, in primis, da sottrarre all'impero del capitale e delle sue figure (plusvalore, profitto, denaro, “mercati finanziari”, ecc.).

Certo, come punto di partenza può forse apparire un po' troppo generico o poco concreto. Tuttavia, a noi questa pare essere quella piccola mossa immaginativa che può servire a farci partire insieme, quel piccolo salto mentale capace di preparare al grande salto nell'immaginazione di un’altra società.

Saremo ancora in pochi e non potremo nemmeno pensare, in questa fase, ad un radicamento di tipo territoriale. Non importa, se la mossa è quella giusta il cammino si farà insieme ai nostri passi.

Per iniziare proponiamo, domenica 24 ottobre a Bologna, un primo incontro fra redattori di siti, bloggers, scrittori e frequentatori della rete. Con la consapevolezza che una cosa è il quotidiano, imprescindibile spargimento di semi contro gli inganni e i depistaggi del mainstream mediatico, un'altra è l'approfondimento degli argomenti e la costruzione di un pensiero comune non più subalterno al sapere ufficiale (scientifico, filosofico, politico-economico ed artistico).

Insieme vogliamo guardare ai nostri modi di operare in rete, confrontandoci finalmente come persone intere, provando a costruire reti di studio, a formarci come pensatori, ad inventare scuole, le nostre scuole, in cui non si ragioni con le categorie preformate dai dominanti. Alcuni suggeriscono che un primo obiettivo comune da raggiungere per dare corpo a simili propositi potrebbe essere una rivista on line: occorrerà discuterne insieme.

Un punto appare tuttavia dirimente: senza reti di persone che producano lampi di sapere differente non sarà mai possibile la costruzione di una nuova sfera pubblica e, di conseguenza, nessuna diversa proposta politica potrà pretendere di presentarsi senza imposture sulla scena quale opzione alternativa rispetto all'esistente.

Come promotori di questo primo incontro, noi di Faremondo abbiamo pensato ad una sorta di Agenda delle questioni aperte in cinque punti, rispetto alla quale chiediamo sin d'ora a quanti vorranno intervenire di persona di spedirci le proprie riflessioni alla seguente casella di posta: redazione@faremondo.orgQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .

Vorremmo in tal modo garantire a tutti i tempi adeguati per poter esporre le proprie posizioni e per potersi confrontare con i presenti in una sorta di agorà propositiva che, almeno nelle nostre intenzioni, dovrebbe poter continuare a novembre e a dicembre con altri tre o quattro incontri su temi che proveremo a definire insieme il 24 ottobre.


Agenda delle questoni aperte


1. La società del capitale: qual è la sua natura, come funziona sotto la superficie e quali sono le sue tendenze

2. La natura della scienza: gli stereotipi ufficiali, il suo status interno più sofisticato e quel suo modo di ragionare così strettamente imparentato col modo di funzionare proprio del capitale

3. Megamedia e propaganda: come i dominanti suscitano il consenso dei dominati nel mondo alla rovescia inventato dai loro mille schermi di fumo

4. 11 settembre 2001: un inside job ad uso e consumo delle élite finanziarie dell'imperialismo USA dentro il big game geopolitico e criminale del mondo multipolare. Perché non possiamo chiedere la verità agli agenti del Potere e perché la consapevolezza di questo può portarci a ragionare diversamente

5. Lo stato delle cose
: come possiamo distinguerci concettualmente e nell'azione dalle opposizioni fittizie e da tutte le loro false piste intellettuali

 Da:
faremondo

giovedì 18 novembre 2010

Sono appena nato, datemi il tempo!
Mi sto guardando intorno